18 settembre 2008

La strage di Orfila

Come ci ricorda lo scrittore cubano Humberto Vázquez García, nel suo interessante libro “El Gobierno de la Cubanidad” (Editorial Oriente), il mandato presidenziale di Ramón Grau San Martín (1944-1948) rappresenta un periodo un po’ deludente per le aspettative dei cubani. Era infatti nato con delle ottime intenzioni e con un grandissimo consenso popolare, guidato da un politico brillante, medico autorevole e professore della cattedra di fisiologia dell’Università dell’Avana, combattente rivoluzionario tornato dall’esilio.
Gli anni di questo governo vengono però ricordati per la loro pericolosità ed una cruenta lotta di potere tra i vari gruppi politici. Un uomo del carisma di Eduardo Chíbás, segnalandone la corruzione, lo chiamò il Governo de la Kubanidad, alludendo, anche dal punto di vista grafico, al famoso paragrafo K della Legge n.7 dell’aprile 1943, che prevedeva un aumento fiscale a favore della creazione di nuovi posti per professori e maestri, ma che alla fine favorì personaggi che non si fecero molti scrupoli nella gestione dei fondi. Questa legge, nata sotto il governo costituzionale di Batista, fu dapprima osteggiata dal Partito Rivoluzionario Cubano (Autentico) mentre si trovava all’opposizione, ma accettata quando vinse le elezioni. Sarà un po’ il leitmotiv della politica di Grau, che ammiccherà all’elettorato popolare, senza dimenticarsi di quello benestante, ricordando ai vicini del Nord, d’essere “rivoluzionario”, ma non comunista. È in questo clima che operano bande e gruppi d’azione che, sempre per interesse personale, fungono da veri i propri “bracci armati”, uccidendo ed attentando all’incolumità pubblica.
Era infatti passato circa un anno dall’uccisione del giovane Luis Joaquin Martinez Saenz, figlio del Ministro senza portafoglio, che l’Avana viene scossa da un nuovo gravissimo fatto di sangue, passato alla storia con il nome di “Matanza de Orfila”. Infatti, nonostante l’anno sia stato costellato da numerosi attentati, di cui una ventina mortali, questa sarà una vera e propria strage. Tutto inizia il 5 di settembre 1947, quando “ignoti” sparano la bellezza di 60 colpi contro l’autovettura del comandante Emilio Tro Rivero, posteggiata sotto casa. Il bersaglio dell’attentato non si trova nel mezzo, ma da subito si capisce che è in corso un regolamento di conti. Tro è stato infatti da poco nominato da Grau istruttore per la preparazione e la disciplina militare della Polizia Nazionale. È un uomo d’azione, che ha combattuto durante la seconda guerra mondiale con gli americani e che nel 1946, tornato a Cuba, ha fondato l’Unione Insurrezionale Rivoluzionaria. Ha due nemici giurati, i già conosci
uti Orlando León Lemus, detto El Colorado e Mario Salabarría (capo del famigerato SIEE). La risposta è quindi immediata ed il 12 settembre il capitano Raúl Ávila Ávila, detto il Lechoncito, capo della Buon Costume e presunto autore dell’attentato, muore crivellato in un negozio del Vedado. Salabarría, usando i suoi metodi “poco ortodossi” raccoglie le cosiddette informazioni testimoniali ed una persona identifica quale autore del crimine Luis Padierne Labrada, un uomo di Tro.
Ricevuto il mandato di cattura dal giudice istruttore, il 15 settembre Salabarría si reca nel reparto Orfila, a Marianao, dove vive l’ufficiale della polizia Antonio Morín Dopico. Salabarría è infatti venuto a sapere che Tro sta pranzando in casa del collega in compagnia d’amici e quindi fa circondare la zona. Inizia una vera e propria battaglia, trasmessa dal vivo dal giornalista di Radio Reloj Gérman Pinelli e ripresa dal cameraman Eduardo "Guayo" Hernández, del cinegiornale nazionale. Successivamente Pinelli trasmetterà i fatti durante il suo programma “Reporter Canada Dry” dell’emittente CMQ. Gli asserragliati si rendono conto d’avere poche possibilità di uscirne vivi e Tro invia delle persone di fiducia per chiedere l’intervento dell’esercito; nel frattempo comuni amici si recano direttamente da Grau. Mentre i militari della caserma di Columbia s’organizzano aspettando ordini, il presidente riferisce d’accusare una forte febbre. Passa così il tempo e quando i carri armati arrivano, Tro ed i suoi hanno già deciso per la resa. Il lancio di lacrimogeni li ha costretti a ritirarsi nel bagno ed in casa si trovano donne e bambini. Il primo ad uscire è infatti Morín Dopico che tiene in braccio la figlioletta di 10 mesi, ferita. Sicuri della protezione della bandiera bianca, escono allo scoperto anche gli altri, ma improvvisamente dalla parte degli assedianti parte una scarica di mitragliatrice che uccide Tro e la moglie di Morín Dopico, Aurora Soler Amor. Al termine della battaglia il bilancio è di sei morti ed otto feriti ed alcuni dei vincitori s’accaniscono sui cadaveri degli avversari. La riprovazione per l’accaduto, provoca un alterco tra gli stessi poliziotti intervenuti e solo la presenza militare, impedisce l’inizio di un nuovo conflitto a fuoco. Salabarría ed altri dei suoi vengono arrestati. Durante la notte è assassinato un uomo del SIEE, mentre il giorno successivo oltre tremila persone accompagnano i resti dei caduti nella strage d’Orfila.
Mentre le immagini dell’accaduto incominciano ad essere trasmesse nei cinema e l’eco di quanto successo si sparge per la città, il governo tenta in un primo momento di sospenderne la divulgazione. Varie prese di posizione da parte politica e soprattutto la decisione del capo dell’esercito Genovevo Pérez Dámera di convocare i direttori dei principali giornali perché possano visionare di persona il materiale, fa cambiare d’opinione al governo, preoccupato dall’aumento di popolarità dei militari. Il 18 settembre le stesse forze armate effettuano una scrupolosa perquisizione nella casa del Capo della Polizia Nazionale, il colonnello Fabio Ruíz, mentre un alto ufficiale dell’esercito è nominato supervisore della polizia. In questa situazione, Eduardo Chibás spiega alla radio la sua posizione sull’accaduto e, condannando i fatti di sangue attribuibili a Tro, indica che l’ufficiale non uccideva alle spalle, non ammazzava le donne, non rubava e non partecipava alle speculazioni della borsa negra, che, al contrario, aveva sempre avversato. L’insigne uomo politico, sottolinea inoltre le responsabilità del governo, perchè in effetti il movente, o i moventi, sono da ricercare nei turbolento clima creatosi in quegli anni. È vero che si parlerà anche d’antipatie personali e di borsa negra, ma sta di fatto che probabilmente non fu solo uno scontro all’interno degli organi di polizia. La sentenza della causa numero 95/947 emessa il 6 marzo 1948 dal Tribunale Superiore della Giurisdizione della Guerra e della Marina, non condannerà a 30 anni solamente il comandante Mario Salabarría Aguiar, ma anche una serie di persone estranee alle forze dell’ordine, come appunto El Colorado. Questi si renderà latitante fuggendo all’estero, ma anni più tardi, nel 1954, non riuscirà nell’impresa di scappare ai sicari di Batista.

1 commento:

pumario ha detto...

Stefano, di questo racconto storico potresti sceneggiare un film con le due star hollywoodiane, Al Pacino e Robert De Niro. De Niro può interpretare Tro mentre Al Pacino potrebbe essere Mario Salabarrìa. Ne uscirebbe un capolavoro... buona giornata a te e al Barba.