10 luglio 2008

Con il destino non si può…

Pochi giorni fa, per ripararci dal brutto tempo, siamo entrati nel Palacio de los Capitanes Generales e ne abbiamo approfittato per rivedere il Museo della Città.
Questo palazzo coloniale è stato tra l’altro sede del carcere dell’Avana. Quando gli ospiti sono incominciati a diventare troppi, prima li portarono alla Cabaña e poi, ultimato il nuovo istituto di pena, nel 1834 li trasferirono nel perimetro tra la porta della Punta e l’omonimo castello. Venne chiamato, in modo non molto originale, Cárcel Nueva o de Tacón, dal nome del Governatore, e rimase in funzione fino al 1926.
È qui che inizia una storia vera che dimostra che con “el destino no se puede”, come appunto dice una famosa canzone de Los Van Van. Siamo nel 1907, il carcere può ospitare fino a 2.000 detenuti, divisi in sezioni secondo il sesso, la classe sociale ed i reati. Per un giornalista di cronaca nera un ottimo posto per “pescare” le ultime notizie. Fu così che Guillermo Herrera, reporter di un giornale del mattino, venne fermato da un detenuto intento a lavare il pavimento del cortile. Questi si presentò come Yeyo Vassallo, autista delle carrozze dell’Acera del Louvre. Il cronista, che sapeva il suo mestiere, gli rispose: “Ah, ti accusano della rapina alla bottega di Rayo…”.
In effetti, il 13 gennaio 1907, all’angolo tra Indio e Rayo, avvenne un curioso fatto di sangue. Verso le nove di sera, l’asturiano Francisco García Rodriguez stava quasi per chiudere bottega, quando arrivò una carrozza da cui scesero quattro individui: uno era Vassallo, che stava facendo notte insieme a Manuel Torres (El Zurdito), Alfonso Casanova (El Ñato) e Ricardo Valdés (Bachata). Timoroso della multa per l’orario di chiusura, lo spagnolo fece entrare i quattro e gli servì delle birre accompagnate da formaggio e sardine. Mentre vigilava nel retrobottega che non passasse la guardia di ronda, non s’accorse subito delle intenzioni dei suoi supposti clienti. L’allegra compagnia era infatti entrata con l’intenzione di portarsi via i soldi della cassa e Yeyo affrontò, spavaldamente armato di un coltellaccio, il povero oste. Più per guadagnare l’uscita che per difendersi, anche Don Francisco prese il primo coltello che trovò sul balcone, ma Yeyo gli rifilò due coltellate, una alla guancia ed un’altra, terribile, nel collo. Mentre cadeva con il sangue che gli zampillava dalla ferita, l’oste riuscì a tirare il suo coltello, che si conficcò in una gamba di Yeyo.
Il malvivente ordinò ai suoi complici di saccheggiare il negozio e poi se ne scapparono con il magro bottino di 17 pesos, due caciotte, due bottiglie di vino e qualche dolcetto. Erano intenzionati a prendere per calle Monte in direzione di Cuatro Caminos, ma le troppe frustrate fecero imbizzarrire il cavallo e la carrozza si scontrò contro un portico. Un vigilante s’avvicinò all’incidente ed insistette ad accompagnare Yeyo al pronto soccorso, visto che sanguinava da una gamba. Il delinquente, convinto che l’assalto non fosse stato ancora scoperto e che la ferita potesse essere mascherata dall’incidente, acconsentì. Però qui entra in gioco il fato, perché mentre si trovava in ospedale, venne riconosciuto dal bottegaio, anche lui ricoverato in quel frangente. Yeyo fu subito arrestato.
Durante la detenzione il suo avvocato cercò di derubricare il reato di tentato omicidio in lesioni gravi, perché, nonostante l’incredibile taglio al collo, il ragazzone dell’Asturie riuscì a scamparla e la ferita si rimarginò. Però, per un altro gioco del destino, accadde l’imprevisto per cui il 18 settembre 1907 il Tribunale dell’Avana condannò Yeyo Vasallo alla bellezza di 17 anni, 4 mesi ed un giorno di reclusione. In effetti, poco dopo la conversazione con il giornalista Guillermo Herrera, il corpo senza vita di Francisco García Rodriguez giaceva sul tavolo anatomico del Dottor Cueto, medico necroscopo, che lavorava nell’ufficio di fronte alla carcere, sul Paseo del Prado. “Un fatto curioso, che non si ripeterà molto spesso; quest’uomo non l’ha ucciso la ferita, l’ha ucciso la cicatrice”, disse il forense esaminando il cadavere. Due mesi dopo il fatto, la cicatrice aveva infatti ostruito la laringe e lo sfortunato oste era morto.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Hola Massimo! Destino...Napoleone ci credeva tantissimo! E anch'io per cui lo sfido e domani in serata arriverò all'Havana! Sarà una sorpresa per tutti!

Mi piacerebbe conoscerti di persona se ti avanza tempo tra le tue numerose attività...! Ti lascio il nr di cellulare via mail!

Besitosssssss

pumario ha detto...

L'ispettore si trova a suo agio nel descrivere azioni di cronaca nera. Massimo vedi di prendere qualche correttivo ...Stefano sta scrivendo alla grande e se gli lasci ancora spazio mi sa che troverà molti fans ...comunque in gennaio vedrò di darti dritte sulla pesca al Marlin così potrai prendere le contromisure scrivendo una nuova storia sul vecchio (io) e il mare...

Massimo Barba ha detto...

Caro Mario, il tuo commento mi rende felicissimo. Significa che, da buon Direttore, ho visto bene, puntando sull'ottimo Stefano.
Saranno anche "appunti randagi" dalla lontana Cuba, ma i cavalli sono di razza.

Anonimo ha detto...

in primis doverose scuse a Massimo per un commento addietro su altro blog.....

poi.....se un giorno deciderai/deciderete di raccogliere in un libro i Vostri pensieri "randagi" abaneri chiedo umilmente di poter lasciare due righe (che dovranno necessariamente essere approvate da Voi) nella prefazione.....

.....sinceri complimenti per stile personale, originalità dei temi trattati e fluidità narrativa......bravi davvero!

Anonimo ha detto...

Caro Director e cari amici, troppo buoni. Il vero giornalista è Massimo. Mi sembra di essere da Arbore: telefona Lei, telefono io? Ce la diciamo e ce la scriviamo...
Il suo correttore di fiducia, Stefano.