31 agosto 2008

Cucina cubana: la ricetta della "fritta"

Visto che Stefano ci ha parlato della "frita cubana", risvegliando la curiosità di alcuni amici, ho pensato bene di proporvi la ricetta.
Mi è venuto in aiuto il blog "Recetas de la abuela" di Mayra Gómez Fariñas, proprietaria e cuoca della paladar "Bodeguita Criolla" nella regione centrale di Cuba, collaboratrice della rivista "Sol y Son" della Cubana de Aviacion ed autrice di un libro di cucina di prossima pubblicazione.
Ma veniamo alla ricetta per 4 persone.
Ingredienti:
276 grammi di macinato di manzo, 184 grammi di macinato di maiale, 1/2 tazza di latte, una tazza di mollica di pane, olio q.b., 2 cucchiaini di paprica e sale a gusto. Una malanga grande, in alternativa una patata grande. Quattro panini soffici rotorni, 4 cucchiaini di mostarda e 4 cucchiaini di ketchup.
Preparazione:
Bagniamo la mollica di pane nel latte e mescoliamo alle carni. Aggiungiamo la paprica, il sale e lasciamo riposare la massa in frigorifero per quattro ore. Dopo, prendiamo la massa e la dividiamo in quattro parti uguali e facciamo una polpetta con ognuna di questa. Schiacciamo le polpette. In padella con olio ben caldo le friggiamo una per volta, continuando a schiacciarle con l'aiuto di un cucchiaio, girandole di tanto in tanto. Nel frattempo, peliamo la malanga o patata, la tagliamo alla julienne e la friggiamo.
Tagliamo i panini, spalmiamo un cucchiano di mostarda ed uno di ketchup, aggiungiamo la "frita" e la malanga o patata fritta. E' da servire in piatti adornati con una foglia di lattuga...
Chi, invece, è di passaggio all'Avana potrà visitare il ristorante
Puerto de Sagua, in calle Egido entre Jesús María y Acosta, a solo due isolati dalla Estación Terminal de Trenes (Avana Vecchia), che - da qualche mese - ripropone nuovamente "las fritas".

29 agosto 2008

Gustav è nuovamente un ciclone


Da qualche ora, la tempesta tropicale Gustav, superando la soglia di 117km/h per i venti massimi sostenuti, ovvero con durata superiore al minuto, si è convertita nuovamente in ciclone, per adesso di categoria I della scala Saffir-Simpson.
I venti massimi sostenuti sono di 120 km/h con raffiche superiori, mentre la pressione centrale è scesa a a 980 millibar, con un diametro totale di 450 km. Le previsioni - purtroppo - dicono che Gustav continuerà a rafforzarsi e - come potete vedere dal grafico - dovrebbe passare per le province occidentali di Cuba, durante la notte tra sabato e domenica, .
Non sono per nulla tranquillo. Per notizie attualizzate potete consultare il sito dell'Istituto di Meteorologia Cuba o quello del National Hurricane Center.

Siamo fritti.


In questi gironi sono più attento al mangiare. Si sa, quando la moglie è in vacanza i fornelli diventano degli amici. Come vi sarà capitato, quando si gira per l’Avana si vedono un sacco di persone che camminano mangiando qualcosa. Chi il panino con il prosciutto affumicato, un altro con la pizza alta un dito, qualcuno addirittura con la “cajita” con dentro di tutto. I punti di ristoro sono infatti abbastanza e con massimo venti pesos cubani, tra mangiare e bere, si può almeno fermare la voragine nello stomaco.
Bisogna infatti dire che i cubani sono dei mangioni, con un profondo rispetto per il loro piatto unico. Potete invitarli a mangiare gli spaghetti più buoni del mondo, che generalmente conoscono solo nella versione con la salsa di pomodoro, ma dategli il classico riso e fagioli con maiale ed avrete fatto centro. Lo so, è una pietanza per un norvegese, con il caldo e l’umidità tropicale è una specie di bomba calorica, ma non c’è niente da fare. D’altronde questo crogiuolo di razze è anche un miscuglio di ricette base. Tainos, Spagnoli, Africani, Cinesi, Arabi, Americani, ognuno ha lasciato una traccia, anche se i cubani sono guidati da un amore indissolubile: la passione per il fritto.
Di questa “locura” ci parla anche il nostro maestro Ciro Bianchi Ross, indicando una pietanza molto in voga prima del ’59. Infatti, accanto ai venditori di hot dog, tamales (ecco i tainos con la loro polenta di mais), involtini primavera, ecc., esistevano molti punti vendita che servivano la cosiddetta “frita”. Per capire esattamente cos’è, me lo sono fatto spiegare da alcune persone che hanno vissuto in quel periodo. Nella ricetta più comune, si trattava in definitiva di una polpetta schiacciata, formata da un impasto di carne di vitello e maiale, che una volta chiusa tra due belle fette di pane unte con senape e ketchup, accompagnate da malanga o patata americana tagliata alla julienne, forniva la benzina per buona parte della giornata. Non era però una versione tropicale dell’hamburger americano, tanto che già da tempo imperava per le vie dell’Avana. È stata inoltre una pietanza apprezzata da tutte le classi sociali, come lo furono la carne di cavallo ed il baccalà, un tempo unica fonte nutritiva degli schiavi.
Un altro costume tipico degli avaneri, che si conserva ancora oggi in molte case, era quello di non accendere i fornelli la domenica sera e mangiare qualcosa di freddo, un panino, e quasi sempre un buon caffellatte con biscotti. Ciro Bianchi ci ricorda che l’invenzione di John Niewhof, che mentre si trovava in Brasile gli era caduto un po’ di caffé nel latte, meritandosi per questa incredibile trovata addirittura un monumento a Pernambuco, era diventata all’Avana famosissima. Tanto da suscitare nei conterranei dell’interno qualche perplessità sulle condizioni economiche delle famiglie avanere…
Tornando alla frita, una delle più buone, impastata con l’uovo, era quella della tavola calda dell’allora giovane giornalista Carlos Lechuga, all’entrata di Miramar, di fronte al ristorante Kasalta. Il nome del proprietario di questo locale non vi dirà probabilmente molto, ma Francisco Aguirre Vidaurreta, già presidente della Cassa della Previdenza Sociale dei Lavoratori Gastronomici e Ministro del Lavoro, con i fondi della cassa contribuì al finanziamento della costruzione dell’hotel Habana Hilton, l’attuale Habana Libre. Oggi il Kasalta è un ristorante economico, con un buon ambiente, decorato con immagini che ricordano gli sport olimpici. Non ha la concorrenza di nessun takeaway di fronte, ma se volete mangiare qualcosa d’asporto qui all’Avana vi segnalo un indirizzo di una tavola calda, servono ottimi panini “medianoche”, hamburger, e frullati; si trova nel reparto Flores, Playa, in calle 168 tra Quinta e Primiera. La riconoscerete da un globo rosso appeso all’esterno di una casa particular e dall’inconfondibile odore di fritto…

27 agosto 2008

Gustav si è indebolito

L'uragano Gustav, dopo il suo passaggio su Haiti, dove purtroppo ha lasciato un bilancio di cinque morti, si è indebolito ritornando ad essere una "tempesta tropicale".
I venti massimi, che ieri toccavano i 150 chilometri orari con raffiche superiori, alle 12 di oggi, come riportato dall'Avviso n. 11 di Ciclone Tropicale del Centro Pronostici dell'ISMET di Cuba, hanno fatto registrare velocità di 95 chilometri orari.
Giá nella nottata di oggi, attraversando i caldi mari dello Stretto di Colon, tra la Giamaica ed il litorale sud orientale di Cuba, Gustav potrebbe riacquistare la forza di uragano.
All'Avana, ieri pomeriggio, un fortissimo acquazzone ha creato qualche lieve disagio al traffico cittadino. Anche oggi, per il pomeriggio, si annunciano piogge intense sulla capitale ed un notevole aumento delle precipitazioni sulle province di Holguin e Guatanamo.

26 agosto 2008

L'Oriental Park di Marianao

L'Havana-American Jockey Club "Oriental Park", ovvero l'ippodromo più famoso dell'Avana, fu inaugurato il 14 febbraio 1915, nel quartiere Los Quemados, del municipio di Marianao, nelle immediate vicinanze dell'allora Calzada de San Francisco, oggi calle 100, precisamente calle 108 e 63.

Tra i fondatori e primi presidenti ci furono, John McEntee Bowman, proprietario del Westchester Country Club di Rye, New York e presidente della Bowman-Biltimore Hotel Corporation, a quei tempi proprietaria anche dell'Hotel Sevilla dell'Avana, e Harry D. "Curly" Brown, uomo d'affari, allevatore di cavalli da corse e comproprietario anche degli ippodromi Arlington Park di Chicago, Tia Juana di Tijuana, Messico, e del Laurel Park di Baltimore, Maryland.

L'ippodromo fu definito tra i "migliori delle Americhe" e sicuramente fu il preferito delle scuderie nordamericane che, nei mesi invernali, portavano i purosangue a svernare, approfittando delle miti temperature di Cuba.

L'Oriental Park non fu scenario solo di corse di cavalli, ospitò il campionato di baseball cubano 1915/16 e numerosi incontri di pugilato. Tra i più noti c'è, sicuramente, quello tra l'afroamericano Arthur John "Jack" Johnson, campione dei pesi massimi, e lo sfidante bianco Jess Willard. L'incontro, che si svolse il 5 aprile 1915 davanti a 30mila spettatori, fu vinto da Willard che, al round 26, con un destro, fulminò Johnson. Il giornalista cubano Ciro Bianchi Ross ci svela, però, un retroscena: Johnson aveva venduto l’incontro per la favolosa somma di 30mila dollari.

Il Jockey Club Oriental Park disponeva anche di un lussuoso ristorante, dove si esibivano dal vivo gli artisti più in voga del momento.

La mafia italo-americana, con Meyer Lansky, alla fine degli anni '30 ancora luogotenente di Lucky Luciano, prese il controllo della struttura, come ci racconta lo storico inglese Robert Lacey, nel suo libro "Little Man: Meyer Lansky and the Gangster Life".

Il proprietario, ufficialmente, era il deputato Indalecio Pertierra, che inoltre controllava il Cabaret Montmartre del Vedado, come scrive la giornalista Katherine Hirschfeld, nel suo libro “Health, Politics, and Revolution in Cuba Since 1898”, «Meyer Lansky e i suoi subordinati controllavano i casinò del Jockey Club e del Cabaret Montmartre insieme a cubani come il parlamentare Indalecio Pertierra». Lo stesso Pertierra aveva ricevuto da Lucky Luciano e Frank Costello - svela la giornalista - una tangente di 50mila dollari per il controllo del casinò dell'Hotel Presidente.

E sempre Pertierra che, dopo un fallito attentato a Lucky Luciano nel dicembre del 1946, ottenne che la Polizia del Palazzo Presidenziale assegnasse al capo di tutti i capi due guardaspalle.

Lo scrittore cubano Enrique Cirules, raccogliendo l'inedita testimonianza di un collaboratore di Lansky, ci racconta nel suo "La vida secreta de Meyer Lansky en la Habana", che l'ormai indiscusso re della mafia a Cuba, era solito pranzare al ristorante del Jockey Club dell'Oriental Park.

(In alto una foto del 1921 dell'Oriental Park. Sopra il Jockey Club)

20 agosto 2008

Radiocentro

Tranne le due scappate al mare, in questi giorni le nostre storie si sono ambientate nelle vicinanze della Rampa. Restiamo quindi in zona e chiudiamo un momento gli occhi e torniamo un po’ indietro nel tempo. Ci troviamo all’angolo con L, è già sera ed il vestito di lino non mitiga il caldo, tra l’altro la giacca e la cravatta non migliorano la situazione. E poi lei è in ritardo. Aveva detto alle nove davanti al Radiocentro e suo padre l’aveva lasciata uscire per andare al cinema. I commentatori, i tecnici del suono e le segretaria delle emittenti radiofoniche dell’edificio mi guardano camminare avanti ed indietro tra M e L. Mi preoccupa solo un po’ che lo faccia anche la guardia all’angolo, speriamo che non creda che abbia brutte intenzioni. Ma perché tutta questa agitazione? Ah, sta uscendo l’autista di Mestre Espinosa, il capo supremo della CMQ S.A., l’imprenditore di successo che ha appena finito di costruire il FOCSA. Con i suoi due fratelli è proprietario, o comunque ha interessi, in 23 imprese per un valore di 15 milioni di dollari. Invece di studiare italiano, dovevo impegnarmi come lui in Economia. Certo, lavorare per l’Ambar Motors del paesano di mio padre Amedeo Barletta mi permette d’invitare a cena la mia “ritardataria cronica”, ma una Laurea in Business Administration nell’Università di Yale è un’altra cosa. Chiaro, Goar Mestre ha fiuto per gli affari, i suoi canali 6 e 7 della televisione e le emittenti radiofoniche CMQ, Radio Reloj, Radio Universal e CMBF Onda Musical le seguono tutti, ma è già ricco di nascita, con un nonno addirittura sindaco di Santiago di Cuba, da dove proviene la sua famiglia di farmacisti. E poi non ha solo le radio e le televisioni, s’occupa di generi alimentari, pubblicità, cosmetici, profumi, automobili, elettrodomestici, senza dimenticare che è presidente della Fomento de Obras y Construcciones S.A. Credo però che il salto di qualità l’abbia fatto con le televisioni e forse, se questo aggeggio prenderà piede un giorno anche in Italia, sarà un buon affare: chissà se qualche paesano ci penserà… Se non sbaglio è però nel 1943 che Mestre centra l’obbiettivo, quando s’associa con Emilio Azcárraga, il futuro fondatore della messicana Televisa, e con i vecchi proprietari della CMQ superano in poco tempo la competitrice Cadena Azul de Cuba. Certo comprare questo strategico appezzamento di terreno ad Evangelina Aulet e costruire proprio qui, in L e 23, l’Edificio Radiocentro in soli 2 anni (dal marzo 1946 al marzo 1948) è stata un’altra scelta azzeccata. Però 3 milioni di dollari sono una botta! Pensandoci bene nel ’47 aveva già fatto due passi importanti: il 1. luglio l’inaugurazione di Radio Reloj ed il 23 dicembre del teatro Warner con i film della famosa casa di produzione cinematografica. Dal gennaio del ’53 ha cambiato il nome del cinema in Radiocentro, almeno così nessuno si sbaglia o si confonde con l’edificio. A proposito: quando ho detto il cinema di Mestre Espinosa non è che il padre si sia sbagliato con l’Arenal di 31 e 30 a Marianao? Ah no, eccola che arriva! Bellissima, però che strano nome le hanno dato i suoi: Yara. Non sono molti i nomi con la Y, forse sta iniziando una nuova moda. Sarà la televisione, ormai la guardano tutti e mi sa che tra poco cambieranno anche il nome all’edificio: chissà Istituto Cubano della Radio Televisione o qualche sigla simile…

19 agosto 2008

Il Coppelia e la sua storia...


Oggi parliamo del Coppelia, non il celebre balletto francese da cui prende il nome, ma della "Cattedrale del Gelato", com'è stata giustamente definita nel famoso film cubano "Fresa y Choccolate".
La gelateria Coppelia occupa, nel centralissimo Vedado, tutto l'isolato delimitato dalle strade 23, 21 L e K. Chi conosce l'Avana, sicuramente, l'ha vista e magari anche visitata. Personalmente, ci sono stato diverse volte in compagnia di moglie.
Ma ritorniamo alla storia. Nello stesso luogo, l'8 febbraio 1886 veniva inaugurato l'ospedale Reina Mercedes, chiamato così in onore della moglie di Re Alfonso XII, bisnonno dell'attuale re di Spagna Juan Carlos I di Borbone. I lavori dell'ospedale, grazie ad una donazione di 217mila pesos dei benefattori doña Josefa Santa Curz de Oviedo, don Salvador Samá Marchese di Marianao e don Joaquín Gómez, erano cominciati, con la posa della prima pietra, il 19 novebre 1880. Per l'acquisto di quel terreno così "periferico", nelle vicinanze dell'antica Batteria di Santa Clara, nell'isolato 88 dell'allora Reparto Medina, erano stati spesi appena 3mila pesos. Il primo direttore della struttura fu il dottor Emiliano Nuñez di Villavicencio y Alvarez.
Con la fine della dominazione spagnola, il nome dell'ospedale fu cambiato in "Nuestra Señora de las Mercedes" e l'amministrazione fu affidata dal Generale Leonard Wood ad "Juntas de Patronos", diretta dallo stesso Nuñez de Villavicencio.
Nel 1954 la Junta de Patronos decise di trasferire l'ospedale in un'altra zona, anche a causa della rapida urbanizzazione del Vedado. Il terreno fu venduto al prezzo di oltre 300mila pesos e l'ospedale si trasferì nelle vicinanze del Castillo del Principe, l'attuale "Comandante Manuel Fajardo".
Il 25 agosto del 1958, cominciarono i lavori di demolizione: al posto del vecchio ospedale sarebbe dovuto sorgere un lussuoso hotel di 50 piani con ben 500 stanze. Il progetto andò a rotoli con il trionfo della Rivoluzione. Al suo posto fu costruito un Padiglione del Turismo, con la riproduzione di montagne, laghi artificiali, scenari flottanti, bar ed un ristorante per 500 persone. Il Padiglione funzionò per circa un anno e dopo le sue strutture furono utilizzate per un Centro Ricreativo chiamato "Nocturnal".
Nel 1965 arrivò finalmente l'idea di costruire, in quel luogo così centrale, un'enorme gelateria. Il progetto fu affidato al talento dell'architetto Mario Girona con la collaborazione degli architetti Rita Maria Grau e Candelario Ajuria. I calcoli strutturali, invece, furono eseguiti dagli ingegneri Maximiliano Isoba e Gonzalo Paz.
La vera sfida era abbinare la grandezza dell'opera con la giusta e necessaria riservatezza. Risultato raggiunto con la costruzione di cinque piccole zone, un ampia sala centrale, divisa però in tre sezioni ed un piano alto anche questo diviso. L'edificio centrale è costruito da colonne di cemento armato, gettate sul luogo, travi prefabbricate ed un tetto circolare, la cui cupola ha ben 40 metri di luce, formato da lastre nervate e rifinito con un lucernaio di cristalli colorati che misura 4 metri d'altezza e cinque di diametro. Le travi superano le terrazze e si appoggiano nei muri che svolgono la funzione di contrafforti. Il diametro di ogni piano dei saloni superiori è di 12 metri. La costruzione durò appena sei mesi, ma con giornate di lavoro di 24 ore.
Il Coppelia, anche se non è mai stato ufficialmente inaugurato, aprì i battenti il 4 giugno 1966, con un offerta di ben 26 gusti che con tempo sarebbero arrivati a 54. Ancora oggi, nonostante sia diminuita notevolmente l'offera, in questi giorni di caldo, e a qualsiasi ora, è facile vedere lunghe code di avaneri, giovani e meno giovani, in fila per mangiare un buon gelato...

18 agosto 2008

Ci Fay...

Fortunatamente la tempesta tropicale "Fay" è rimasta tale ed il suo passaggio in territorio cubano - per quando ne so - non ha fatto registrare danni, se non forti piogge in alcune zone. Qui all'Avana, da ieri, il tempo è peggiorato e anche adesso sta piovigginando. Queste avverse condizioni metereologiche non mi hanno permesso di festeggiare come pianificato, ieri 17 agosto, il mio 31mo compleanno. Vabbè sarà per l'anno prossimo!
Sabato, invece, approfittando del bel tempo, anche troppo per i miei gusti, ho fatto un salto al Vedado per visitare l'esposizione di "Arte en la Rampa". Tanti gli oggetti di artigianato locale, più o meno belli e più o meno cari, in vendita nei numerosi stand.
Come sempre, la mia attenzione è stata richiamata dagli spazi dedicati ai libri cubani. Per 5 pesos mn ho acquistato un interessante volume dal titolo "I Cimiteri dell'Avana" della giornalista Angela Oramas, dal quale, nei prossimi giorni, vi proporrò alcune curiosità.

15 agosto 2008

Mai lamentarsi...

Dopo una bella domenica trascorsa - come annunciato - al Club Habana, dove mi sono divertito e riposato, lunedì mattina mi sono svegliato con un forte mal di gola ed alcune linee di febbre.
Pensavo ad un acciacco passeggero ma non è stato così. La febbre, nella notte di martedì, ha raggiunto i 41,4 gradi. E' il mio record personale e vi lascio immaginare come mi sentivo. Il medico di famiglia mi ha prescritto tutta una serie di analisi per scongiurare il rischio che si trattasse di dengue. Per fortuna era una "semplice" laringotracheite. Sono rimasto - ovviamente - tutta la settimana a casa e, solo ieri, la temperatura è scesa nei limiti normali. In questi giorni, ho ingerito una quantità tale di pastiglie, tra antipiretici, analgesici ed antibiotici, che il mio stomaco poteva sfidare a singolar tenzone una "maraca".
Oggi sto decisamente meglio rispetto ai giorni precedenti e sono ritornato in ufficio. Vediamo se, per la prossima settimana, riuscirò a completare questi "benedetti" post che ho in cantiere. Fortunatamente, domenica, rientrerà anche Stefano dalle vacanze in "oriente" per aiutarmi a rianimare il blog.

08 agosto 2008

Speriamo meglio

In questi giorni, i tanti impegni, di lavoro e familiari, mi hanno tenuto lontanto dal blog. Spero, per la prossima settimana, di aver un po' più di tempo disponibile per terminare alcuni post che ho in "cantiere", ormai, da tempo.
Come potete ben immaginare, all'Avana, in questi giorni, sta facendo tanto, ma tanto caldo, quasi da rendere impossibile uscire nelle ore di punta. La temperatura, anche di notte, non scende sotto i 25 gradi, mentre di giorno supera, spesso, i 32 gradi. Insomma c'è bisogno di un pò di mare!
Ieri, nel pomeriggio, per la prima volta, in compagnia di Marco, sono entrato all'area piscine del Club Havana (giá Havana Biltmore Yacht and Country Club di cui vi ho scritto tempo fa), veramente niente male. Già che bisogno di un po' di riposo e relax, mi va bene sia il mare che la piscina, ho deciso di andarci domenica con tutta la famiglia.

05 agosto 2008

Tarará

La storia del villaggio di Tarará ha inizio ai tempi della colonia, nel XVI con lo sfruttamento di alcuni giacimenti di rame presenti della zona. Proprio agli indigeni, utilizzati come minatori, si deve il nome “Tarará”, sia al villaggio che al vicino fiume. “Ta-ra-rà”, non erano altro che gli squilli di tromba delle sentinelle spagnole.
Ma veniamo alla storia più recente.
Nell’agosto 1912, tre americani residenti a Cuba fondarono la “The Tarara Land Company”, con l’obiettivo di utilizzare i terreni con un fine industriale e residenziale. La compagnia era presieduta da mister Royal S. Webster che, nel 1927, realizzò le prime quattro abitazioni, tipo bungalow, dove stabilì la sua residenza. Nello stesso anno veniva fondato il Yacht Club, che sarebbe stato uno delle principali attrazioni del futuro insediamento.
Negli anni quaranta, periodo d’oro degli investimenti immobiliari, la compagnia vendette i terreni ai soci del Club e si costruirono 525 case, dando vita ad una zona residenziale privata.
L’esclusività e la tranquillità, insieme allo sviluppo delle strade di comunicazione, come la costruzione della Via Monumental e il Tunnel della Baia dell’Avana, ne fecero il luogo di rifugio prediletto della media borghesia della capitale.
Furono costruite opere sociali, sportive e ricreative, finanziate dai residenti, come un campo di squash, uno di softball, una piscina ed il club ippico, situato nel luogo occupato oggi dalla Plaza Martiana. Il supermercato ed il drive-in, invece, erano all’ingresso del quartiere.
Al centro del quartiere c'era il Club de Asociados, con due piani, con ristorante, bar ed un negozio di generi alimentari. Lo spazioso portale era utilizzato per le attività collettive. Al secondo piano, invece, c’era l’abitazione di Mr. Webster. Nelle vicinanze c’era il Ranchón, con il bar e il bowling.
I due edifici erano ben collegati con il molo, il più sicuro dell’Avana, a detta di Ernest Hemingway, che spesso attraccava con il suo “Pilar”.
Nell’anno 1953 venne costruita la chiesa, finanziata da Webster ed i residenti. Era dedicata a Sant’Elena, patrona di Tarará ed ogni 15 agosto venivano realizzate processioni in terra ed a mare. Tarará aveva anche un suo giornale, si chiamava “El Macao” e raccoglieva i fatti di cronaca locale.
Alla morte di M. Webster venne costruito in parco che, al suo centro, aveva un suo busto.

Tra i tanti, anche il presidente della Repubblica, Carlos Prío Socarrás aveva una casa a Tarará.

02 agosto 2008

Ah, l'amore!

Dopo un periodo di sosta, dove il Direttore ed io abbiamo rischiato di fare la fine di Cafunga, torniamo a scrivere. Diciamo intanto che Cafunga era un liberto africano che di professione saliva sulle palme a prenderne i frutti. Un lavoro difficile e pericoloso, infatti Canfunga cadde estenuato e morì sul colpo. Per consolarci, e perché non vogliamo morire per il lavoro, raccontiamo quindi una grande storia d’amore, un vero dramma strappalacrime e come dicono qui, un culebrón. I protagonisti sono Catalina Laza del Río Noriega e Juan Pedro Baró. Lei appartiene ad una ricca famiglia di patrioti e con le quattro sorelle è famosa per la bellezza dei suoi grandi occhi azzurri, la pelle di madreperla e l’incantevole presenza. Don Juan è ricchissimo, proprietario nei primi anni della Repubblica di ben tre centrales. Si conoscono nelle aristocratiche sale da ballo di Parigi e scocca immediatamente l’amore. Il problema è che lei è sposata dal 1898 con Pedro Luis Estévez Abreu, figlio della patriota Marta Abreu e del Vicepresidente della Repubblica Luis Estévez , mentre lui è coniugato con Rosa Varona con cui ha una figlia. Immaginatevi quindi la situazione, perché a quei tempi Cuba era un po’ più rigida da questo punto di vista. Infatti la storia rimane segreta, finché una zia dello sposo assolda un investigatore privato che scopre gli amanti in flagrante mentre si trovano in una suite dell’hotel Inglaterra. Catalina chiede lo scioglimento del matrimonio, ma lo sposo si nega. La coppia d’innamorati decide allora di rendere pubblico il loro amore. Una sera entrano in un teatro ed a poco a poco tutti i presenti abbandonano lo spettacolo. Dal palco gli attori, davanti alla commovente scena di Don Juan che in silenzio accarezza Catalina in lacrime, decidono di continuare la funzione solamente per loro. Per ringraziarli la donna lancia sulla scena tutti i suoi gioielli. Lo scandalo è enorme, il marito accusa Catalina di bigamia e la coppia abbandona il paese trasferendosi a Parigi. Nella città dove era nato il loro amore, protetti dalle leggi francesi, si sposano vivendo in una lussuosissima casa. Però alla coppia l’accusa di bigamia e la forzata decisione di lasciare Cuba non piace. Si presentano quindi in Vaticano, dove il Papa decide lo scioglimento di quel matrimonio ormai di fatto inesistente. Nel 1917 il Presidente della Repubblica Mario García Menocal firma la tanto attesa legge ed i due innamorati decidono quindi di ritornare all’Avana dove registrano il primo divorzio della storia cubana. Don Juan Pedro Baró regala alla sua dolce metà una casa che entrerà negli annali dell’architettura avanera. Contratta infatti lo studio degli affermati Evelio Govantes y Félix Cabarrocas che disegnano il progetto di una villa tra Paseo e 17. I lavori iniziano nel 1922 e terminano nel 1927, lasciando stupefatti i residenti del Vedado. È in uno stile eclettico, con la facciata rinascimentale ed interni Art Déco, con molti riferimenti all’antico Egitto, da dove si dice provenga anche la sabbia usata per il rivestimento delle pareti. Il padrone di casa ha chiamato da Parigi i migliori decoratori dell’epoca, tra cui il famoso René Lalique, che anni dopo realizzerà il monumentale panteon fatto costruire da Baró per sua moglie nel Cimitero di Colón. Nonostante le sofferenze e l’amarezza provate, Juan Pedro Baró dimostra d’essere un signore sotto i tutti i punti di vista e per l’inaugurazione invia a tutti gli invitati un gioiello unico, accompagnato da quadri di famosi pittori cubani. Nel giardino di questo superbo palazzo crea un roseto speciale, La Enamorada, dove cresce una rosa gialla, rotonda e con i petali molto chiusi, che porta il nome della sua amata Catalina. La felicità non dura però per molto tempo perché il 3 dicembre 1930 la bellissima, dagli incantevoli occhi azzurri, muore tra le braccia del suo Juan. Al funerale gli uomini partecipano in frac e le dame in lungo; Catalina è sepolta come una nobile egizia: indossa tutti i suoi gioielli. Quando dieci anni dopo Don Juan la raggiunge, si fa seppellire in piedi, a guardia della sua regina.
Negli anni ’40 la casa è ereditata dalla figlia di Pedro Baró, poi, alla fine dei ’50 diventa la residenza dell’ambasciatore francese, in seguito, passa ad essere la Casa Cuba – URSS, infine nel 1995 viene trasformata nella Casa dell’Amicizia e della Solidarietà di Cuba ed i Popoli. Alla sera è un buon locale, dove si può cenare e con spettacoli di varietà nel grande giardino.

28 luglio 2008

Proprio una bella Koisima...


Terminato il Malecon, prima d’immergersi nell’estuario dell’Almendares, tuffandoci nel tunnel di 5.ta Avenida, è quasi automatico dare un’occhiata a destra. La sagoma bianca del Ristorante “1830”, di giorno o di notte, è un classico dell’Avana. La storia del locale inizia nel XIX secolo quando nella zona sorgeva il ristorante Arana, specializzato in riso con pollo (strano…) e baccalà alla biscaglina. Più tardi, fu trasformato nell’Hotel La Mar, dove si trovava un altare, punto in cui terminava la processione della Virgen del Carmen. La magnifica posizione convinse Mister Balbridge a comprare l’immobile e trasformarlo nella Villa Miramar. Nel periodo in cui fu sindaco dell’Avana il Generale dell’Esercito di Liberazione Freyre de Andrade (1912-1916), la dimora venne acquistata dall’avvocato Carlos Miguel de Céspedes Ortiz. È a lui che si devono la bellezza ed il buon gusto dell’intera costruzione, in particolare il fascino del giardino, composto da un’isoletta artificiale con piccole grotte e passaggi nascosti, chiamata “Koisima” (in giapponese “Isola dell’Amore”), e da una parte alberata e caratterizzata da un bellissima costruzione mudéjar, detta “La Mezquita”, decorata con mattonelle portate dalla Certosa di Siviglia. In questa residenza, il cui indirizzo esatto è Calzada y 20, vicino alla torre d’avvistamento de La Chorrera, visse per molto tempo sua madre, la signora Eloisa Ortiz Coffigny, la cui famiglia diede a Cuba illustri medici. Don Carlos Miguel Tranquilino de Céspedes y Ortiz Coffigny, come venne battezzato a Matanzas nella chiesa di San Borromeo, era nato il 6 giugno 1881 e discendeva per il ramo paterno da una famiglia proveniente da Siviglia e stabilitasi a Bayamo nel XVII secolo, a cui apparteneva anche Carlos Manuel de Céspedes del Castillo, Padre della Patria. Per non smentire gli illustri antenati, fu una delle grandi personalità del suo tempo ed un uomo ricchissimo. Figlio di un giudice, com’era tradizione di famiglia si laureò in diritto e fondò, insieme a José Manuel Cortina García e Carlos de la Cruz Ugarte, il famoso studio legale delle 3 C, così chiamato per le iniziali dei cognomi dei tre soci. Dato che gli avvocati Céspedes e Cortina furono dirigenti del Partito Liberale ed il dottor de la Cruz del Conservatore, nell’alternanza governativa di quel periodo, lo Studio non perse mai le redini del potere. Ebbero quindi la possibilità di promuovere opere realizzate da imprese a loro collegate, quali la costruzione della 5.ta Avenida, dell’Ippodromo di Marianao e dell’urbanizzazione della spiaggia di questo municipio. A Miramar, sulla 5.ta Avenida, erano proprietari dello stabilimento balneare la Concha e del parco di divertimenti Coney Island, che nel 2007 è stato ricostruito ed è nuovamente in funzione. Don Miguel si contraddistinse per un’attivissima vita politica, tanto che durante il periodo in cui fu Segretario delle Opere Pubbliche del governo di Machado venne soprannominato “El Dinámico”. Alla sua iniziativa si deve la nascita della Carretera Central, del Capitolio Nacional, con il famoso brillante che ne segnala il chilometro zero, della Avenida del Puerto, della Plaza de la Fraternidad, del Boulevard (San Rafael), del Paseo del Prado, dell’Hotel Nacional, della grande scalinata con la statua dell’Alma Mater dell’Università e di gran parte delle strutture dell’ateneo, dell’ospedale “Enrique Núñez”, di quasi tutti i padiglioni dell’ospedale “Calixto García”, oltre a numerosissimi edifici pubblici nel resto di Cuba, tra cui il “Presidio Modelo” in quella che diventerà l’Isola della Gioventù. Però, nonostante tutto, quando il 12 agosto 1933 cadde il governo Machado, la sua casa del reparto Country Club, in stile normanno, venne assaltata ed incendiata dalla folla, ed andò persa la sua biblioteca d’inestimabile valore. Don Miguel donò le rovine e mille metri quadrati di terreno alla chiesa cattolica e Manuel Arteaga Betancourt, primo Cardinale di Cuba e secondo Arcivescovo dell’Avana, edificò al suo posto la chiesa del Corpus Christi, al cui interno vennero dipinti quattordici affreschi della passione di Cristo. Accanto, venne costruita una scuola per bambini poveri. Una lapide ricorda ancora la fatidica data dell’assalto, richiamando gli uomini di buona volontà, affinché fatti di quel tipo non si ripetano più in questo paese. A Villa Miramar toccò la stessa sorte, ma nel 1937 Don Miguel la ricostruì e fu la sua residenza permanente fino al giorno della morte. Lì visse con il grande amore della sua vita, Margarita Johanet Montalvo e dal matrimonio nacquero tre figlie: Margarita, Martha e Diana. Oltre che politicamente, fu impegnato anche nella vita sociale occupando incarichi direttivi d’altissimo livello nei più famosi club avaneri. Sebbene avesse superato con successo un’operazione per un tumore al colon, l’8 giugno 1955, non riuscì a resistere al dolore per il decesso dell’amata sposa, avvenuto un mese prima. La veglia funebre ebbe luogo nel Capitolio, alla base della statua della Repubblica nel Salone de los Pasos Perdidos, ed il cadavere fu sepolto nella tomba di famiglia, che si trova nella via centrale del Cimitero Monumentale Cristóbal Cólon. Durante gli anni ’50 la villa fu acquistata dalla famiglia Currais, che lo trasformò nella filiale del ristorante La Zaragozana, assumendo il nome attuale. Ai giorni nostri, insieme al Torreón de La Chorrera fa parte della catena di ristorazione Palmares.

23 luglio 2008

Il Focsa


Una delle migliori vedute dell’Avana si può ammirare dalle finestre del bar ristorante “La Torre”, al penultimo piano dell’edificio FOCSA.
Alto ben 121 metri, con 39 piani, occupa completamente l’isolato compreso tra le strade 17, 19, M ed N del Vedado, per una superficie di oltre 10mila metri quadrati. Il FOCSA si divide in tre parti principali. La prima ospita nei piani bassi negozi, studi televisivi, uffici, bar, un’agenzia pubblicitaria, il teatro ed un parcheggio per ben 500 automobili. La seconda è u
n blocco di 29 piani, di cui 28 divisi in appartamenti da 3 o quattro abitazioni. Il piano 29 accoglie 7 attici che completano i 373 appartamenti dell’immobile.
La terza parte, la torre centrale, ospita il ristorante “La Torre”, di cui vi parlavo in precedenza.
Ma veniamo alla storia del FOCSA. Nel 1952, la dirigenza della potente catena radiotelevisa CMQ S.A. decise di costruire un edificio destinato agli artisti ed ai dipendenti dell’emittente. L’idea originaria era di costruirlo nel municipio di Arroyo Arena, ma la lontananza dalla sede centrale fece scartare l’idea. L’attenzione, così, fu centrata sui terreni occupati allor
a dal Club Cubaneleco, di proprietà dell’americana Cuban Electric Company. Il prezzo della vendita fu di 700mila dollari e il progetto fu affidato all’ingegnere Luis Sáenz Duplace e agli architetti Ernesto Gómez Sampero, Martín Domínguez e Bartolomé Bestard.
Prima di cominciare i lavori, nel febbraio del 1954, furono eseguiti diversi studi sulla staticità dell’edificio. Si calcolò, ad esempio, che forti venti di 240 chilometri orari avrebbero fatto oscillare la parte superiore di solo 10 centimetri. L’edificio fu costruito in appena 28 mesi e furono necessari ben 35mila metri cubi di calcestruzzo. Terminati i lavori, nel giugno 1956, il FOCSA era il secondo edificio in cemento armato più alto del mondo.
In poco più di un anno, tutti gli appartamenti furono venduti: quelli di tre stanze a 17.500 dollari e quelli di quattro a 21.500 dollari.

Un’ultima curiosità, il nome FOCSA non è altro che l’acronimo della società capogruppo dell'operazione immobiliare: la Fomento de Obras y Construcciones Sociedad Anonima.

22 luglio 2008

Cabala.

La smorfia ci suggerirebbe oggi di giocare l’ambo 43 e 48 sulla ruota dell’Avana. Scopriamone il motivo. La nostra storia risale ai tempi del Governo del Presidente Grau. Da quando era andato al potere, il 10 ottobre 1944, gli attentati erano quasi all’ordine del giorno e uomini come Orlando León Lemus, detto El Colorado, imperversavano con le loro bande al servizio di chi pagava meglio. Il 6 settembre 1946, accadde però un fatto che sconvolse la città: l’attentato numero 48. Tutto il mondo politico, l’opinione pubblica e gli stessi gangster presero le distanze, “Non mietiamo vite innocenti”, dichiarò alla stampa lo stesso Colorado.
Alle nove di sera di quel caldo settembre avanero, mentre l’automobile ufficiale del dottor Joaquín Martínez Sáenz, senatore della Repubblica e ministro senza portafoglio, procedeva senza fretta sulla Quinta Avenida, venne affiancata da un altro mezzo da cui spararono dei proiettili di grosso calibro. Con grande disappunto e dolore della città intera, la vittima era un giovane di soli 16 anni, che stava tornando dalla spiaggia per andare a prendere lo smoking e recarsi ad una festa. Gli ignoti assassini avevano infatti ferito gravemente alla testa Luis Joaquín Martínez Fernández, il figlio del ministro, che morirà qualche ora più tardi nell’Ospedale militare di Columbia.
Il coro di dolore e rabbia per la morte di un adolescente fu unanime, personaggi come Blas Roca, Eduardo Chibás, Ramón Vasconcelos, Carlos Saladrigas, Jorge Mañach, lo ripudiarono pubblicamente, sostenuti da veterani dell’Indipendenza come il generale Enrique Loynaz del Castillo e dallo stesso Procuratore Generale della Repubblica, il Dottor Rafael Trejo. Persino Grau si rimproverò della sua tolleranza verso i gruppi dal grilletto facile. Persone di ogni credo e posizione politica si presentarono ai funerali.
All’inizio nacquero delle voci di presunti dissidi tra Martínez Sáenz y José Manuel Alemán, Ministro dell’Educazione, ma lo stesso politico, durante il funerale, s’avvicinò al collega manifestando il suo cordoglio e l’intenzione di regolare lui stesso i conti se qualcuno del suo dicastero fosse stato implicato. Secondo il senatore Chibás, l’attività politica di Martínez Sáenz non mostrava punti oscuri che lo collegassero ad affari loschi ed altre attività disoneste. Perché allora questo crudele assassino, che assomigliava ad una vendetta trasversale? E qui entrano in ballo il 43, il caso e la follia.
Il 9 agosto, sempre a Miramar, l’automobile del dottor Antonio Valdés Rodríguez, responsabile del Commercio Estero del Ministero degli Affari Esteri era stata crivellata da colpi di lupara e lo stesso ne era miracolosamente uscito illeso. Era l’attentato numero 43. Valdés Rodríguez e Martínez Sáenz, oltre ad essere due politici, erano anche soci di uno studio legale, e partecipavano alla vita mondana della sfavillante Avana. Fu così che conobbero la coppia formata dal milionario Enrique Sánchez del Monte e Cruz de los Ángeles Betancourt Horstman. La famiglia di Enrique, proprietaria delle piantagioni di canna da zucchero Santa Lucía e Báguanos, nell’oriente cubano, non avevano per nulla fiducia di quella ragazza di cui Enrique si era perdutamente innamorato. Il padre della giovane era stato ucciso da un fratello a Camagüey, a sua volta misteriosamente ammazzato a colpi d’arma da fuoco a Cienfuegos. Inoltre la famiglia contava con un altra morte violenta, in quella che sembrerebbe una faida. A questi timori dei Sánchez del Monte, s’aggiungeva il fatto che la coppia non era tanto bene assortita, dato che a lui piaceva il lavoro, mentre a lei le feste e la vita sociale. Però Enrique amava smisuratamente quella donna e nonostante si dicesse che fosse un po’ tirchio, acconsentiva a qualsiasi sua richiesta. Provava inoltre una devozione per le sue due figlie, Dagmar e Pilar. Poco a poco, Cruz de los Ángeles lo convinse a partecipare ai ricevimenti e mentre lei si compiaceva della sua bellezza, lui diventava sempre più geloso. Dalla violenza verbale, passò a quella fisica, mandandola dal dentista. E a chi si rivolse Cruz de los Ángeles per il divorzio? Allo studio associato degli avvocati Martínez Sáenz y Valdés Rodríguez. Il latifondista dovette pagare alla sua ex sposa 400.000 dollari ed un assegno mensile di 600, con la privazione della tutela e custodia delle bambine. L’uomo ebbe un vero e proprio tracollo e fu internato in una casa di cura. Incominciò a perseguitarlo un’idea ossessiva: quella d’essere stato tradito dai suoi due amici avvocati, che avevano macchinato in combutta con Cruz de los Ángeles. Era ancora giovane, a 43 anni avrebbe potuto rifarsi una vita, ma prima provò ad entrare in una confraternita religiosa, poi incominciò a bere, mentre il proposito di vendicarsi si faceva strada nella sua mente ormai sconvolta. Non aveva però il coraggio di farsi giustizia da solo. Incontrò così Rogelio Herrera, un poliziotto in pensione che lo mise in contatto con Abelardo Fernández, detto El Manquito, tenente della Polizia del Ministero dell’Educazione ai tempi del furto del brillante del Capitolio, che a suo volta gli fece conoscere Román López, noto come El Oriental. El Manquito chiese seimila pesos per la morte di Cruz de los Ángeles Betancourt Horstman, tre mila per quella di Antonio Valdés Rodríguez e cinquemila per Joaquín Martínez Sáenz. L’esecutore materiale sarebbe stato El Oriental. L’omicidio del ragazzo risultò essere un tragico scambio di persona.
Però nella sua pazzia, Enrique Sánchez del Monte parlò delle sue intenzioni anche con l’amico d’infanzia José del Cueto, a quei tempi direttore della Dogana, il quale nel tempo associò i gravi fatti accaduti, comunicandoli a Grau ed anche al comandante Mario Salabarría, capo del Servizio Investigativo e Informazioni Straordinarie (la DIGOS d’allora…). Questi mandò i suoi uomini in calle Galiano n. 153, dove all’interno 74 viveva Sánchez del Monte, e lo fece arrestare. A onor del vero, più di un arresto fu un sequestro, perché non fu portato in nessuna stazione di polizia, ma in una fattoria dove, dopo cinque giorni, fu “convinto” a ripetere la sua confessione davanti al giudice istruttore. Tutte le altre persone implicate, compreso l’ex poliziotto, furono arrestate. Enrique Sánchez del Monte fu condannato ad una pena severa e quando usci dal carcere, all’entrata dell’appartamento che era stato di sua proprietà, si mise a vendere piccoli oggetti fatti con il tornio.

19 luglio 2008

Brividi... di caldo


Parlando di Rachel e Macorina, due vampire delle notti avanere, il pensiero corre immediatamente a Juan Padrón. Come molti sanno, è l’autore del famoso Elpidio Valdés, l’eroico mambí dei cartoni animati, in perenne lotta per la liberazione dagli spagnoli. Però questo brillante disegnatore è anche il creatore di due divertentissimi film, avaneri al 100%, che s’intitolano Vampiros en La Habana e Mas Vampiros en La Habana.
Il primo l’ho visto e rivisto anche per ragioni di lavoro, ma ogni volta scopro un gag nuova, uno scorcio dell’Avana, un riferimento che non avevo notato. La storia racconta di Joseph, alias Pepe, secondo i casi, svezzato dalla zio Werner Amadeus Von Dracula a base di una misteriosa pozione chiamata Vampisol. Questo infuso permette infatti a Pepito di poter vivere anche alla luce del giorno, mentre, come è noto, agli altri vampiri il sole nuoce abbastanza e letteralmente li polverizza. Quando però la notizia si diffonde, L’Avana degli anni Trenta viene invasa da Capa Nostra e da un gruppo di vampiri europei che vogliono impossessarsi della formula. Siamo ai tempi del Generale Machado e l’avventura si snoda tra battute e colpi di scena, fino a quando il nostro eroe, già adulto e fidanzato con Lola, riesce a diffondere via radio la formula del Vampisol, condividendola con tutti i vampiri del mondo. Il lieto fine è assicurato dalla nascita di un figlio e dall’apertura di un locale notturno dove Pepe suona la sua “puñetera trompeta”, doppiata nientemeno che da Arturo Sandoval.
La seconda parte si svolge invece qualche anno più tardi, durante la seconda guerra mondiale, dove le riserve del Vampisol diminuiscono per gli eventi bellici. I nazisti, con la collaborazione degli italiani, vogliono impossessarsi della formula, notevolmente migliorata dal figlio di Pepe che l’ha resa solida con l’aggiunta della guayaba (diventando così Vampiyaba). Anche qui molti riferimenti e personaggi celebri, come Hitler, Mussolini, Stalin, il Papa Hemingway. Ottima una delle scene finali dove l’agente sovietico, contagiato dal clima caraibico del locale di Pepe, canticchia un ritornello su come ballano bene le ucraine, sembrano quasi le russe. Immediatamente, un mulatto magro e dinoccolato s’avvicina al tavolo e sostituisce le nazionalità con messicane e cubane, e mi sembra che la canzone ed il ritmo abbiano poi avuto un discreto successo…
Vi do la ricetta del Vampisol, trascrivetela se ne avete bisogno:
in una notte di luna piena, mischiare con grande precisione due once di menta ed un uovo di camaleonte, aggiungere tre once e un quarto di zucchero di canna, un cuore di lucertola e un pizzico di sale, cinquanta grammi di sangue di colibrì con molta piña colada e un pezzetto di peperone. Unire l’estratto di squalo, mettere il tutto nel frullatore con mezzo litro di rum. Passare il contenuto in un colino di tulle e farlo raffreddare finché diventa blu.

18 luglio 2008

Yo no soy la engañadora!

Il 7 novembre del 1953, un fatto alquanto insolito turbò la tranquillità pomeridiana del Paseo del Prado.
Una stravagante bionda era scesa da un taxi e, con un ombrellino aperto, aveva percorso, cantando e saltellando, tutto il tratto del Prado compreso tra Anima e il Parque Central.
Nulla di strano direte voi... ma la formosa bionda indossava solo uno slip ed un impermeabile… per di più trasparente.
Giovani e meno giovani, dai bar vicini, si riversarono sul Prado, affascinati dalla bionda. Tra complimenti e colpi di clacson, la nostra continuò divertita la sua sfilata sino al Parque Central, dove giustamente fu fermata da un agente della polizia.
“Volevo solo dimostrare che non sono la engañadora” rispose divertita, riferendosi alla nota canzone di
Enrique Jorrín, che parlava di una ragazza che, proprio sul Prado, attirava gli uomini aumentando, con la spugna, le sue misure.
Ovviamente, fu portata in commissariato. Si chiamava
Virginia Martha Lacima, nota come Miss Burbujas, ed era una ballerina statunitense in tournee all’Avana. Presto si sarebbe esibita in un cabaret dell’Avana e aveva voluto pubblicizzare il suo spettacolo, dando una dimostrazione delle sue qualità “artistiche” e non...

17 luglio 2008

Il Carnevale dell'Avana


Ieri, percorrendo in compagnia di Stefano il Malecon dell'Avana, ho notato che i preparativi per Carnevale procedono spediti. Sono già state allestite, infatti, numerose tendostrutture che ospiteranno ristorantini e punti di ristoro veloce. E' ancora presto invece per i palchi, che quest'anno potranno ospitare ben 8.280 persone, e le tribunette con 960 posti a sedere.
Il Carnevale della Capitale si svolgerà dal 1 al 10 agosto e l'area della sfilata comprederà tutto il tratto di Malecon tra Galiano e 23, dalle ore 21 fino a mezzanotte.
Per la prima volta, gli spettatori, dopo l'ultimo gruppo, potranno unirsi al corteo e sfilare sulla Rampa a ritmo di conga.
Al carnevale parteciperanno 13 gruppi, 7 tradizionali e 6 contemporanei. Per la prima categoria ci saranno: La Jardinera, Las Bolleras, La Sultana, El Cabildo de La Habana, Los Componedores de Batea e El Alacrán. Questi ultimi due festeggiano ben cento anni d'attività.
I contemporanei, invece, saranno rappresentanti dalla FEU, Los Guaracheros de Regla, La Giraldilla, Los Jóvenes del Este, La Mazucamba e Los Caballeros del Ritmo.
Il primo "ballo di carnevale" dell'Avana risale al lontano 1833. Notizie più precise degli anni successivi ci sono fornite da González del Valle che, nel 1841, descriveva i balli in maschera della città. I luoghi più utilizzati erano i saloni del teatro Tacón, del Diorama, del Tivoli, del Villanueva o il caffé La Lonja. Le dame utilizzavano carrozze decorate con addobbi floreali, mentre gli uomini, quasi sempre in maschera, andavano a cavallo o a piedi.
I festeggiamenti includevano sfilate per le principali strade della città dell'epoca: Calzada de La Reina, Alameda de Paula e Campo de Marte.
Solo nel 1902, con un'ordinanza del sindaco che ne regolò il percorso, il carnevale dell'Avana prese sembianze vagamente simili a quelle attuali.

16 luglio 2008

Occhio al Tokio...

Un altro personaggio d’inizio secolo vive nell’immaginario avanero ed è Rachel la “Francesita”. Le sono stati dedicati un tango ed un film intitolato “Lo strano caso di Rachel K.”, diretto da Oscar Valdés nel 1973. Rachel Dekeirsgeiter (dal cognome m’azzardo a dire che era alsaziana) arrivò all’Avana portata dal marito Oscar Villaverde, proprietario del famoso cabaret Tokío, sito all’incrocio tra calle San Lazaro e calle Blanco. Nel suo “Vida y milagros de la farandula en Cuba”, lo scrittore Rosendo Rossel ci racconta che in questo locale « Rachel svolgeva le sue caratteristiche funzioni di preziosa vampira...». La vita notturna all’Avana è sempre stata di tutto rispetto ed al Cabaret Tokío suonavano musicisti di valore tra cui i due sassofonisti Mario Bauzá ed Amadito Valdés, mentre alla batteria si trovava Alberto Jiménez Rebollar, supposto amante di Rachel.
Nel 1931 il cadavere di Rachel fu scoperto nella vasca da bagno della casa sita in calle San Miguel angolo con Amistad, al lato del famoso hotel Astor. Il Dottor Reynaldo Villiers nel suo referto medico specificava «di essere stato chiamato dalla Terza Stazione di Polizia ed alle cinque e mezza del pomeriggio si era presentato nell’appartamento sito al terzo piano di San Miguel 38 y 1/2, dove aveva constatato il decesso di una donna di razza bianca, di circa 30 anni, tale Rachel de Keigeter (il cognome è stato storpiato), morta circa quaranta ore prima, senza potere precisare le cause dello stesso». Secondo il medico, Rachel si trovava supina, nuda e presentava delle contusioni multiple su tutto il corpo; la vasca era sporca di sangue. Sebbene il 15 dicembre 1931, il quotidiano El Mundo pubblicherà un disegno in cui la vittima si vedeva in posizione prona, nessun dubbio sul fatto che fu un omicidio. Però qualcosa non quadra e sicuramente non fu una buona indagine. Quando intervenne, la polizia trova la porta chiusa con il chiavistello, tanto che per entrare deve romperla. Siamo al terzo piano, è evidente che l’assassino è uscito dalla porta, e non sbagliamo se diciamo che ha anche le chiavi. L’unico a venir processato fu il musicista, e più tardi giornalista, Alberto Jiménez Rebollar, difeso da un principe del foro, il Dottor Carlos Manuel Palma, “Palmita”, che s’impegnò a dimostrare la sua innocenza e, senza riuscirci, la colpevolezza di Villaverde. Per inciso, ricordiamo che il principale indagato era fratello del sacerdote Armando Jiménez Rebollar, che conservò l’immagine della Vergine de la Caridad che si trova nell’eremo di Miami, “trasferendola” dalla parrocchia di Guanabo e portandola in esilio l’8 settembre 1961. Siccome anche Villaverde, l’altro sospettato, non venne condannato grazie alla difesa del giovane avvocato Miguel Angel Suárez Fernández, alla fine questo fu definito un delitto perfetto solamente perchè non si trovò l’arma (probabilmente una bottiglia di champagne con cui fratturarono il cranio della vittima), non fu scoperto il movente, come fuggì il criminale e non s’incontrarono impronte utili. Visto gli straordinari a cui erano sottoposti, mi sa che al Terzo commissariato non s’impegnarono molto per la “Francesita”.

14 luglio 2008

Il Re di San Isidro...

Esistono due quartieri dell’Avana Vecchia, Jesús María e Belén, che ancora oggi nell’immaginario cittadino risultano poco frequentabili. Devo smentire questa convinzione per averci vissuto e, sebbene sia uno yuma a tutti gli effetti, non mi è mai successo nulla. Tra l’altro qui si trovano alcune perle della zona esterna ai fusti di cannone interrati, posti dall’illustrissimo Historiador Eusebio Leal a demarcazione del centro storico. Tra queste, la stazione ferroviaria, il convento di Belén, la calle Cárdenas e la Alameda de Paula. Detto questo, proprio davanti alla stazione, nella zona tra le antiche mura e la avenida del Puerto, vicinissima alla casa di José Martí, simbolo dell’indipendenza cubana, s’estende la calle San Isidro. Adesso è una via tranquilla, dove mia figlia più piccola ha frequentato l’asilo Mi Casita Colonial.
Nei primi ‘900 l’aria era completamente diversa, perchè questa era una famosissima zona di tolleranza, dove i protettori locali s’affrontavano con quelli francesi, capitanati da Louis Letot. Il “souteneur” incontrò però pane per i suoi denti nella persona di Alberto Yarini, nato all’Avana il 5 febbraio 1882. Alberto era il figlio prediletto di Juana Emilia Ponce de León «Mimí» - pianista che suonò anche per Napoleone III - e Cirilo José Aniceto Yarini, eminente cattedratico, membro fondatore della Scuola d’Odontologia, fratello del chirurgo José Leopoldo Yarini, a cui è intitolata una delle sale dell’ospedale Calixto García. Come ci racconta Dulcila Cañizares nel suo interessante "San Isidro 1910: Alberto Yarini y su época" (Letras Cubanas, 2006) era discendente di una famiglia d’origine toscane residente in Galiano (Avenida Italia). Elegante e di sicuro fascino, divenne nei primi anni del secolo scorso il più conosciuto magnaccia della zona. Era però “un chulo de categoría”, tanto da passare alla storia con il titolo di “Re di San Isidro", anche se a lui piaceva di più quello de “El Conquistador”. La sua popolarità era enorme ed il partito conservatore ne approfittò per farlo entrare nelle sue fila ed accaparrarsi il consenso degli strati umili del porto e degli stivatori, grazie al suo carisma ed alla sua autorità. Rimangono famose la zuffa con un funzionario della rappresentanza statunitense per un commento anti-cubano e la lite ad un comizio elettorale. I problemi “professionali” di Yarini incominciarono quando la protetta di Letot passò nella scuderia comandata dal nostro. I francesi la presero male ed organizzarono un vero e proprio agguato sui tetti della Calle San Isidro facendo credere a Yarini che una delle sue donne aveva urgente bisogno di lui. Nell’imboscata il “Re di San Isidro” morì a soli 22 anni. Letot, l’assassinò, riuscì a scappare alle autorità, ma non alla vendetta di Pepito Basterrechea, luogotenente di Yarinì. Grazie alle manovre, ai sotterfugi ed alle mazzette, i conservatori fecero in modo che nessuna delle due parti riconoscesse gli aggressori e Pepito venne assolto dal crimine, mentre i papponi francesi furono tutti espulsi.

Tacchino ripieno con congrí

Anche lo scorso fine settimana, come sempre, mi sono dedicato alla cucina che, sicuramente, è una delle forme per avvicinarsi alla cultura di un altro popolo.
Sabato, al ritorno dal mare, dove per la prima volta ho portato Giovannino, ho messo alla prova le mie qualità di chef con la cucina cubana, preparando un tacchino ripieno al congrí. Vi assicuro che, per essere la prima volta, il risultato, come mostra anche la foto, è stato lusinghiero. Ecco la ricetta:

Ingredienti

1 tacchino di circa 8 kg, 3 spicchi d’aglio, 1 cipolla, sale, pepe, 1 cucchiaio di cumino in polvere, 1 cucchiaio di origano secco e il succo di un’arancia amara

Per il ripieno 250 g di fagioli neri messicani, 400 g di riso basmati o orientale a chicco lungo, 1 grossa cipolla, 2 spicchi d’aglio, 1 peperone, 1 cucchiaino di origano secco, 1 cucchiaino di comino, 1 foglia d’alloro secco, sale e pepe.

Pestiamo, con l’aiuto di un mortaio, gli spicchi d’aglio con sale, pepe, cumino ed origano. Aggiungiamo il succo d’arancia e bagniamo l’interno e l’estero del tacchino con questa “salsa”. Tagliamo la cipolla a rondella sul tacchino e lasciamolo riposare per almeno due ore. Nel frattempo prepariamo il congrí. Mettiamo a bagno i fagioli, ma se utilizziamo la pentola a pressione possiamo anche tralasciare l’operazione. Cuciamo i fagioli, in abbondante acqua, insieme al peperone tagliato grossolanamente e all’alloro. Nel frattempo, in una padella, friggiamo l’aglio, la cipolla, l’origano e il comino – ovviamente pestati – e aggiungiamo il tutto ai fagioli, una volta cucinati. Nella stessa acqua di cottura dei fagioli, utilizzando però solo la metà di questi ultimi, faremo cucinare il riso. La proporzione deve essere una tazza d’acqua per ogni tazza di riso. Una volta seccata l’acqua e con il riso al “dente”, possiamo riempire il tacchino con il nostro “congrí”. Mettiamo tutto nel forno, preriscaldato a 170 gradi e lasciamo cucinare per almeno 3 ore, avendo cura, di tanto in tanto, di bagnare il tacchino con il liquido di cottura.

12 luglio 2008

Vota Antonio... Beruff Mendieta


Tra i vari aneddoti della vita politica cubana degli anni precedenti la Rivoluzione, c’è ne uno che – senza usare mezzi termini – lascia letteralmente senza parole…
Il protagonista della nostra storia è Antonio Beruff Mendieta, sindaco dell’Avana dal 1936 al 1942. “Ñico”, come lo chiamavano affettuosamente amici e familiari, puntava però ad uno scranno di senatore della Repubblica. Fatti un po’ i conti, con l’aiuto di collaboratori vari, c’era bisogno, per affrontare le spese della campagna elettorale, di mettere insieme circa 100mila pesos.
Il nostro “Ñico”, invece di fare ricorso alle finanze personale, com’è in voga tra i politici di molti paesi del mondo, pensò bene di affidarsi a quelle dell’erario municipale.
Fu così che propose, al consiglio comunale, la costruzione di una biblioteca pubblica, da costruirsi sui terreni del Parco Trillo, nel quartiere Cayo Hueso dell’odierno municipio Centro Avana.
Com’era da aspettarsi, la proposta – visto il grande vantaggio per la comunità - fu approvata all’unanimità con un finanziamento di 70mila pesos. La somma – come risultava dai libri dell’economato – fu impiegata per l’acquisto dei libri, il pagamento dei materiali da costruzione, dell’impresa appaltatrice e dei progettisti.
L’opera, almeno sulla carta, era terminata, anche se in realtà i lavori non erano mai cominciati, perché i 70mila pesos erano stati utilizzati completamente dal nostro per sostenere le spese della campagna elettorale.
A “Ñico” Beruff Mendieta, nel frattempo eletto senatore, purtroppo i 70mila non erano bastati, aveva bisogno ancora di 30mila pesos per raggiungere i 100mila che – come previsto - aveva speso tra pubblicità, incontri e regalie varie.
Il problema doveva essere risolto ed in tempi brevi. Si scoprì, così, che la biblioteca – anche se mai costruita - aveva dei difetti strutturali e, pertanto, per salvaguardare l’incolumità dei vicini, era necessario demolirla.

Il consiglio comunale, anche questa volta, sempre ed esclusivamente per il bene della cittadinanza, approvò la demolizione della biblioteca, stanziando – guarda un po’ – la somma di 30mila pesos… e poi dice che uno si butta a sinistra...

10 luglio 2008

Con il destino non si può…

Pochi giorni fa, per ripararci dal brutto tempo, siamo entrati nel Palacio de los Capitanes Generales e ne abbiamo approfittato per rivedere il Museo della Città.
Questo palazzo coloniale è stato tra l’altro sede del carcere dell’Avana. Quando gli ospiti sono incominciati a diventare troppi, prima li portarono alla Cabaña e poi, ultimato il nuovo istituto di pena, nel 1834 li trasferirono nel perimetro tra la porta della Punta e l’omonimo castello. Venne chiamato, in modo non molto originale, Cárcel Nueva o de Tacón, dal nome del Governatore, e rimase in funzione fino al 1926.
È qui che inizia una storia vera che dimostra che con “el destino no se puede”, come appunto dice una famosa canzone de Los Van Van. Siamo nel 1907, il carcere può ospitare fino a 2.000 detenuti, divisi in sezioni secondo il sesso, la classe sociale ed i reati. Per un giornalista di cronaca nera un ottimo posto per “pescare” le ultime notizie. Fu così che Guillermo Herrera, reporter di un giornale del mattino, venne fermato da un detenuto intento a lavare il pavimento del cortile. Questi si presentò come Yeyo Vassallo, autista delle carrozze dell’Acera del Louvre. Il cronista, che sapeva il suo mestiere, gli rispose: “Ah, ti accusano della rapina alla bottega di Rayo…”.
In effetti, il 13 gennaio 1907, all’angolo tra Indio e Rayo, avvenne un curioso fatto di sangue. Verso le nove di sera, l’asturiano Francisco García Rodriguez stava quasi per chiudere bottega, quando arrivò una carrozza da cui scesero quattro individui: uno era Vassallo, che stava facendo notte insieme a Manuel Torres (El Zurdito), Alfonso Casanova (El Ñato) e Ricardo Valdés (Bachata). Timoroso della multa per l’orario di chiusura, lo spagnolo fece entrare i quattro e gli servì delle birre accompagnate da formaggio e sardine. Mentre vigilava nel retrobottega che non passasse la guardia di ronda, non s’accorse subito delle intenzioni dei suoi supposti clienti. L’allegra compagnia era infatti entrata con l’intenzione di portarsi via i soldi della cassa e Yeyo affrontò, spavaldamente armato di un coltellaccio, il povero oste. Più per guadagnare l’uscita che per difendersi, anche Don Francisco prese il primo coltello che trovò sul balcone, ma Yeyo gli rifilò due coltellate, una alla guancia ed un’altra, terribile, nel collo. Mentre cadeva con il sangue che gli zampillava dalla ferita, l’oste riuscì a tirare il suo coltello, che si conficcò in una gamba di Yeyo.
Il malvivente ordinò ai suoi complici di saccheggiare il negozio e poi se ne scapparono con il magro bottino di 17 pesos, due caciotte, due bottiglie di vino e qualche dolcetto. Erano intenzionati a prendere per calle Monte in direzione di Cuatro Caminos, ma le troppe frustrate fecero imbizzarrire il cavallo e la carrozza si scontrò contro un portico. Un vigilante s’avvicinò all’incidente ed insistette ad accompagnare Yeyo al pronto soccorso, visto che sanguinava da una gamba. Il delinquente, convinto che l’assalto non fosse stato ancora scoperto e che la ferita potesse essere mascherata dall’incidente, acconsentì. Però qui entra in gioco il fato, perché mentre si trovava in ospedale, venne riconosciuto dal bottegaio, anche lui ricoverato in quel frangente. Yeyo fu subito arrestato.
Durante la detenzione il suo avvocato cercò di derubricare il reato di tentato omicidio in lesioni gravi, perché, nonostante l’incredibile taglio al collo, il ragazzone dell’Asturie riuscì a scamparla e la ferita si rimarginò. Però, per un altro gioco del destino, accadde l’imprevisto per cui il 18 settembre 1907 il Tribunale dell’Avana condannò Yeyo Vasallo alla bellezza di 17 anni, 4 mesi ed un giorno di reclusione. In effetti, poco dopo la conversazione con il giornalista Guillermo Herrera, il corpo senza vita di Francisco García Rodriguez giaceva sul tavolo anatomico del Dottor Cueto, medico necroscopo, che lavorava nell’ufficio di fronte alla carcere, sul Paseo del Prado. “Un fatto curioso, che non si ripeterà molto spesso; quest’uomo non l’ha ucciso la ferita, l’ha ucciso la cicatrice”, disse il forense esaminando il cadavere. Due mesi dopo il fatto, la cicatrice aveva infatti ostruito la laringe e lo sfortunato oste era morto.